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Formula di un disastro invisibile

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Assemblea del movimento “No Pfas” nel parcheggio antistante la Miteni. 

 

Una militanza civile. Una lotta per comprendere

 

Formula di un disastro invisibile nasce dalla volontà di Federico Bevilacqua, biologo e cittadino di una delle aree più colpite dal flagello PFAS, di documentare una storia nel suo divenire, testimoniando in presa diretta l'evolversi dei fatti. Parliamo di un viaggio di qualche anno, oltre il muro dell'omertà, che ci avvicina alle persone che continuano a lottare per ottenere giustizia, per affermare il "principio di precauzione" cardine della legislazione ambientale e il diritto all'acqua come bene pubblico. Un insieme di sguardi che ritorna un'anatomia del disagio ecologico e dello sconforto sociale. Una mappa per orientarsi nell'articolato sviluppo di uno tra i casi più eclatanti di inquinamento industriale in Italia, considerato la più grande contaminazione dell’acqua nella storia d’Europa. Qui le immagini, più che come un risultato, vanno lette come tessere di un processo, di un agire volto a decostruire una narrazione troppo episodica e approssimativa, di un risoluto bisogno di restituire dignità ad un territorio ferito, di una ferma intenzione a non dimenticare le vite offese, e di un esplicito desiderio di umanità capace di muovere oltre la rincorsa dei propri crimini e abbracciare la propria causa/casa naturale.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

I Pfas: un esercito inquinante. Un nemico invisibile

Le sostanze perfluoro alchiliche (PFAS), sono composti chimici che compaiono a livello industriale negli anni Cinquanta, e gradualmente si diffondono nel mondo, grazie alla loro proprietà di resistenza ai processi di degradazione naturale. Questa loro duttilità le ha rese adatte ed efficienti in molteplici applicazioni: ad esempio per rendere impermeabili o resistenti ai grassi e all'acqua i tessuti, le pentole, la carta, nei rivestimenti per contenitori di alimenti, nella cera per i pavimenti, ma anche per la produzione di pellicole fotografiche, schiume antincendio, detergenti per la casa, o la famosa sciolina al fluoro. Fino ai giorni nostri si è fatto largo uso domestico di questi prodotti "trattati", esaltandone le prestazioni tecniche. Tra i più noti il Teflon nelle pentole antiaderenti o il Gore-Tex nell'abbigliamento sportivo. La società civile e gli abitanti che gravitano nel territorio interessato dall'inquinamento da Pfas grazie al lavoro degli attivisti e del movimento “No Pfas”, e della stampa e locale e nazionale, oggi è più consapevole del pericolo invisibile che le sostanze derivate dal fluoro alimentano, depositandosi nell'ambiente e nell'organismo per tempi lunghi e spesso indeterminabili. Tuttavia ancora moltissimo resta da fare, per ottenere giustizia, per bonificare il territorio, per informare e tutela dai rischi e danni alla salute, per fare sì che questa storia non si ripeta altrove.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Una battaglia civile. Una bonifica al palo. Un territorio compromesso

All'inizio del nuovo Millennio, comincia a farsi largo negli Stati Uniti, e poi in Europa, la consapevolezza che è necessario adottare delle misure volte al contenimento dell'inquinamento da sostanze perfluoro alchiliche, soprattutto nelle acque, al fine di ridurre i danni alla salute pubblica e all'ambiente. Cominciano a circolare nell'opinione pubblica, specie tra gli attivisti, studi scientifici che confermano la pericolosità di tali composti. Si tende a evidenziare la capacità di interferenza endocrina, il rischio cancerogeno, o a segnalare l'incidenza su malattie cardiovascolari o l'ipercolesterolemia. Nel 2006 in Europa si avvia la campagna 'Perforce' per il monitoraggio dei grandi bacini fluviali al termine delle quali il fiume Po risulterà il fiume più inquinato del continente per queste sostanze. I dati sono preoccupanti e spingono le autorità preposte a risalire alle origini della contaminazione. Gli studi individuano una delle sorgenti principali in provincia di Vicenza, nel distretto industriale della Valle del Chiampo e Agno, e "isolano" l'impianto di sintesi e produzione PFAS facente capo all'azienda Miteni, nel comune di Trissino. La scoperta avviene nel 2011.

Nel 2013, gli esiti dello 'Studio di valutazione del Rischio Ambientale e Sanitario associato alla contaminazione da sostanze perfluoro-alchiliche (PFAS) nel Bacino del Po e nei principali bacini fluviali italiani' condotta dal Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare in convenzione con Istituto di Ricerca sulle Acque – CNR, conferma la contaminazione e avvia lo stato di emergenza ambientale mediante l’ARPAV che consegnerà il documento alle autorità locali. Le indagini rilevano concentrazioni molto elevate di PFOA, uno dei composti più pericolosi della famiglia delle sostanze perfluoro alchiliche, per il bacino idrografico Agno-Chiampo. I dati sono sconcertanti: una superficie terrena di circa 700.000 chilometri quadrati tra le province di Vicenza, Verona e Padova. Ad essere colpita è una falda freatica paragonabile per estensione al lago di Garda e classificata come la seconda più grande d’Europa. La popolazione direttamente coinvolta è pari a 300.000 persone, con una proiezione a circa 800.000 in virtù dello spostamento della falda stessa. In alcuni pozzi si riscontrano valori mai riscontrati in nessun'altra parte del mondo, con risultanze superiori il 1.000.000% (milione percentuale) del valore norma ai tempi della scoperta. Una contaminazione ben più estesa di quella che non molti anni fa coinvolse negli Stati Uniti il colosso DuPont. Una vicenda processuale che ha concluso una prima fase con uno studio tossicologico su 70.000 soggetti, e una maxi richiesta di risarcimento, messa in atto dalla figura dell'avvocato Robert Bilott, insignito del premio Right Livelihood, e protagonista del film 'Cattive Acque' ('Dark Waters') di Todd Haynes. Lo stesso avvocato che nel 2017 viene chiamato a Vicenza dagli attivisti a portare la sua testimonianza di fronte all’opinione pubblica, alla Commissione PFAS della Regione Veneto e alla Procura di Vicenza, proprio per perorare la causa nei confronti delle pubbliche amministrazioni, piuttosto silenti in materia. La serata del primo ottobre 2017 al Teatro Comunale  di Lonigo - strapieno di gente dentro e fuori, conclusasi con la Marcia dei Diecimila la settimana dopo - è già storia del nuovo ambientalismo italiano. 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il processo, la giustizia

Attualmente ci sono tre filoni di indagine; il primo va dal 2000 al 2013 ed è quello relativo ai processi in corso,  ma sta per chiudersi un secondo filone che va dal 2013 al 2018 su prodotti chiamati GenX e C6O4 e c’è poi  un altro filone che riguarda i reati finanziari, perché se la proprietà e i vertici aziendali sapevano di dover  bonificare avrebbero dovuto mettere a bilancio i costi relativi generando passività che invece non sono mai  state conteggiate, falsando i bilanci e nascondendo le perdite. Fra gli imputati, oltre a presidente e amministratore delegato della Miteni, sono stati coinvolti anche alcuni  vertici della Mitsubishi e della ICIG considerati anche come responsabili civili. Al Tribunale di Vicenza si è già conclusa la fase preliminare del procedimento che ha portato al rinvio a giudizio di 15 persone a cui sono stati contestati diversi capi d'accusa riunendo così i due filoni precedentemente distinti (quindi i reati fino al 2013 e quelli dal 2013 al 2018). Si parla di disastro innominato e inquinamento delle acque oltre che di disastro ambientale e bancarotta fraudolenta. In corso è un maxi processo, il più grande della storia per i reati di carattere ambientale.

 

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Manifestazione a Venezia per chiedere la bonifica del sito Miteni. 

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Spot pubblicitario del teflon, componente principale del film antiaderente.

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Lo stabilimento della Mieni a Trissino (VI) . Di esso attualmente rimane solo la piastra e le murature. Tutti gli impianti sono stati smontati per essere riassemblati in India. 

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